Bone Machine, requiem per l’umanità scolpito nel calcio

 


Bone Machine - Requiem per l’umanità, scolpito nel calcio

Tom Waits è un artista unico, capace di muoversi tra le pieghe della musica, del teatro e del cinema con un’intensità che trascende i confini delle discipline. Con una carriera iniziata nei primi anni Settanta, Waits si è trasformato nel corso del tempo in una figura cardine dell’avanguardia artistica, combinando elementi teatrali, letterari e musicali in una sintesi creativa unica. Muove i primi passi nella vivace scena musicale californiana dei primi anni Settanta, un periodo segnato da fermenti artistici e sociali senza precedenti. La California è in quegli anni un crocevia di influenze culturali, dall’onda lunga del movimento hippy al crescente interesse per le arti sperimentali. A Los Angeles e San Francisco si sviluppano ambienti in cui la musica folk, il jazz e il blues si fondono con le sperimentazioni teatrali e letterarie. Nato a Pomona, emerge in questo contesto con uno stile che già nei primi dischi riflette l’influenza di artisti come Jack Kerouac e Charles Bukowski. Frequentando locali iconici come il Troubadour, si fa notare per la sua voce graffiante e per i testi intrisi di malinconia urbana, guadagnandosi un seguito che lo porterà presto sotto i riflettori. 

Gli anni Ottanta segnano una svolta radicale per Tom Waits. Dopo un decennio di ballate jazz e blues intimiste, Waits abbraccia un approccio più sperimentale e teatrale. La sua evoluzione si concretizza con l’uscita di Swordfishtrombones nel 1983, un album che rompe completamente con le convenzioni precedenti. Questo disco è caratterizzato da arrangiamenti non convenzionali, ritmi sincopati, strumenti insoliti e testi che raccontano storie surreali e oscure; a Swordfishtrombones seguono Rain Dogs nel ‘85 e due anni dopo Franks Wild Years: album che ne consolidano l’immagine di cantastorie di mondi grotteschi e al tempo stesso profondamente umani, a metà strada tra Tim Burton e Terry Gilliam, se mi consentite la piccola digressione cinefila, ma anche cinofila! Con Rain Dogs infatti Tom Waits introduce un mosaico di personaggi disadattati e ambientazioni urbane che sembrano usciti da un film noir o da una commedia di strada. L’approccio performativo emerge chiaramente nelle sue esibizioni live. Concerti che diventano spettacoli teatrali in miniatura, qui Waits si trasforma in un narratore che interagisce con il pubblico attraverso monologhi improvvisati, movimenti scenici e interpretazioni cariche di pathos. La sua voce, sempre più roca e graffiante, diventa uno strumento teatrale che amplifica la tensione emotiva delle sue canzoni. 

Il legame tra musica e teatro si intensifica fino a raggiungere il climax con Big Time pubblicato nell’autunno 1988. La collaborazione con Kathleen Brennan diventa centrale durante questa fase della sua carriera. Brennan non è solo una compagna di vita, ma anche una partner creativa che incoraggia Waits a esplorare territori artistici sempre più audaci. Insieme, sviluppano un linguaggio artistico che mescola blues, folk, surrealismo e atmosfere malinconiche, perfettamente coerenti e in linea con il repertorio anni Settanta. Negli anni ‘90, Tom Waits continua a espandere in misura, se possibile maggiore, il repertorio multidisciplinare.

BONE MACHINE – SCULTURA SONORA DI OSSA METALLO E POESIA

Nel 1992, Waits ha dichiarato: "Mi piace suonare la batteria quando sono arrabbiato. A casa ho uno strumento di metallo chiamato conundrum con un sacco di cose appese che ho trovato - oggetti di metallo - e mi piace suonarlo con un martello. Lo adoro. Suonare la batteria è terapeutico. Vorrei averlo trovato quando ero più giovane." Pubblicato nel 1992, Bone Machine rappresenta uno dei capitoli più sperimentali e iconici della carriera di Tom Waits. Concepito come un’esplorazione sonora e tematica delle macerie dell’esistenza, il disco è un viaggio tra la fragilità del corpo umano e il peso della condizione spirituale. Non è solo un album musicale, ma un’opera multidisciplinare che unisce suggestioni provenienti dal teatro, dalla scultura e dal cinema. Waits costruisce un universo sonoro che sembra fatto di materiali grezzi: legno, ossa, metallo, e pietra, utilizzati come strumenti per evocare non solo melodie, ma veri e propri paesaggi mentali. 

Bone Machine si distingue per l’uso di percussioni non convenzionali, spesso derivate da oggetti trovati e strumenti artigianali. Questa ricerca sonora ricorda il lavoro di uno scultore che trasforma materiali grezzi in forme espressive. Il suo modo di costruire le canzoni potrebbe essere paragonato al processo con cui artisti visivi come Louise Bourgeois o David Smith affrontano la materia: non con l’intento di domarla, ma per lasciarla vivere, portando alla luce la sua essenza nascosta. Fin dai primi accordi di Earth Died Screaming, brano cui è affidata l’apertura del concept album, l’ascoltatore percepisce che sta per affrontare un cammino difficile e impegnativo. Waits prese in prestito il titolo di un film di fantascienza anni Cinquanta per parlare dell’Apocalisse. 

Le fiamme dell’inferno crepitano nei suoi versi, che sono ripetutamente interrotti da bizzarre percussioni. Qui troviamo Les Claypool dei Primus intento a imbastire una surreale linea di basso. Dirt in the Ground è un lamento, una riflessione sulla morte, mentre Such a Scream paga un evidente debito nei confronti del maestro di cerimonia, Screamin' Jay Hawkins, uno degli artisti di riferimento di Tom Waits, assieme all'immancabile Captain Beefheart, anche se in questa occasione i critici hanno parlato di un legame anche con Miles Davis e soprattutto col sassofonista sperimentale John Zorn. Il contributo di Ralph Carney è evidente e rende alcuni brani unici nel loro genere, come quello di Larry Taylor dei Canned Heat che si divide tra chitarre e basso. Prezioso anche l'apporto di Joe Gore che con la sua chitarra impreziosisce il sound di Black Wings. Troviamo poi le ospitate di due musicisti come Keith Richards e David Hidalgo, nei brani That Feel e Whistle Down The Wind. 

Bone Machine è un’opera teatrale senza palco, un monologo interiore che mescola Samuel Beckett e Kurt Weill a rituali sciamanici. Non sorprende che il disco abbia ispirato registi e creativi, diventando una risorsa preziosa per il cinema. Alcuni brani del disco sono stati utilizzati in modo emblematico in film che amplificano le sue atmosfere cupe e surreali. In Goin’ Out West, l'autore prende di mira il mito del self-made man, un antieroe che si vanta di non avere cicatrici in un mondo che lo ha già divorato, pregevole stoccata al sogno americano e al mostro del turbo-capitalismo che nel 1992 iniziava a mostrare crepe. Il brano trascinato da un groove martellante e liriche perfettamente a fuoco, diviene un tema perfetto per fare da soundtrack alla pellicola diretta da David Fincher e interpretata da Edward Norton e Brad Pitt, Fight Club. Qui, il brano sottolinea il carisma anarchico di Tyler Durden, amplificando il senso di ribellione e caos che pervade la pellicola. Altri due brani fanno poi parte delle colonne sonore di Twelve Monkeys, film e serie tv. 

Nel film interpretato da Bruce Willis e sempre da Brad Pitt possiamo ascoltare Earth Died Screaming, mentre nella serie tv è presente Jesus Gonna Be Here, pezzo ideale per la creazione di un’atmosfera disturbante, profetica che si sposa con i temi di apocalisse e follia dell’opera, a dimostrazione di come la musica di Waits sia capace di trascendere il semplice ascolto, diventando elemento narrativo che arricchisce il racconto cinematografico. Le correlazioni tra il disco e l’arte visiva non si fermano qui. Le tracce sono state utilizzate in altri contesti per il loro potere evocativo, trascendente. I Don’t Wanna Grow Up, è l’ode nostalgica della ribellione. Motivo per cui trova spazio in progetti visivi e performance artistiche che esplorano il tema dell’infanzia perduta. La sua semplicità melodica, primordiale, si contrappone a un testo che parla di disillusione, creando un contrasto che ha ispirato artisti di ogni disciplina. Per chi si interessa di arti visive, Bone Machine può essere visto come l’ideale catalogo sonoro di textures e altri materiali. 

Ogni traccia sembra avere una propria consistenza: Black Wings, ad esempio, suona come un blocco di granito, pesante e imponente, mentre Whistle Down the Wind ha la delicatezza di una scultura in vetro soffiato, fragile e luminosa. Le scelte di produzione, che privilegia un suono asciutto, diretto, fa emergere ogni dettaglio, come se ogni nota fosse scolpita e cesellata con meticolosa cura e precisione. Bone Machine non è un disco, ma un’esperienza immersiva che coinvolge i sensi e l’immaginazione. È un’opera che invita chiunque – appassionati di musica, cinema, scultura – a riflettere sul potere trasformativo della creatività. Proprio come un grande film o un’opera d’arte visiva, questo album ha il potere di trasportare l’ascoltatore in mondi nuovi, spingendolo a interrogarsi sulla propria umanità e sul significato dell’esistenza. Immaginate un deserto di ossa e metallo, una distesa infinita dove la sabbia si mescola a schegge di ruggine e frammenti di un’umanità dimenticata. 

Sopra, un cielo gonfio e malato urla la fine del mondo, striato di rosso e nero, come se il sole stesso avesse deciso di spegnersi in un rantolo di cenere. Dal silenzio rotto dal vento emerge una voce – roca, spezzata, un ringhio che sembra scavare tra le macerie di ciò che resta: questo è Bone Machine, e Tom Waits è l’artista che lo ha scolpito. Più che un disco è un requiem primordiale, un’ode a un’apocalisse che non ha bisogno di esplosioni per farsi sentire. Perché basta il clangore di un bidone sfondato, il lamento di un legno spezzato, il battito di un cuore che pulsa sotto strati di ghiaia. Entrare in Bone Machine è come calarsi in una miniera abbandonata, dove ogni suono è un’eco di qualcosa che è stato e non tornerà mai più.

Considerazioni personali su Bone Machine

Ritengo che Bone Machine sia tra i dischi più ostici di Tom Waits, pubblicati fino a quel momento. In seguito realizzare un riuscito sequel con Real Gone del 2004. A differenza di altri artisti e autori per cui nutro da sempre un debole, la cifra stilistica del cantautore californiano è probabilmente quella che ha sofferto di meno pressioni legate alla popolarità, alla ricerca di successo e di sound più radiofonici e quindi appetibili. Tom Waits ha scavato a piene mani nel lato più oscuro del sogno americano e ne è tornato quasi sempre sconfitto, che per lui significa redenzione, gioia e quindi vittoria nel senso più decadente e romantico del termine. Una calata agli inferi che però garantirà a chi saprà ascoltare un pronto ritorno nel ghota della musica d’autore e di qualità. 

Come scrive David Harris: ascoltarlo può sembrare un rituale di purificazione degli angoli più oscuri dell’anima, un processo che Waits supervisiona con la gravità di un predicatore di fuoco e zolfo e l’umorismo contorto di un imbonitore da carnevale. Dopo aver pianto artisti come Leonard Cohen e Mark Lanegan, fa strano sapere che Tom Waits ha smesso di pubblicare dischi da quasi tre lustri. Resta però la grandezza, la poesia e la macchina d’ossa con cui il menestrello americano ha saputo aprire l’ultimo decennio del Novecento. Ho sempre avuto un debole per brani come Who Are You, splendida ballata sull’amore e sul senso di perdita, così come per Black Wings con quell’incedere da colonna sonora alla Morricone; Jesus Gonna Be Here è un tributo a Robert Johnson e a Mississippi John Hurt, ma non potrei evitare di citare In the Colosseum, probabilmente tra i brani più esemplari e rappresentativi della raccolta.

Bone Machine non è un disco per deboli di cuore, ma per chi sa che la bellezza può nascere dal crollo e che la poesia può essere un pugno nello stomaco. Lo ha scolpito così, a mani nude, perduto tra le dune di un mondo senza pietà ed empatia.



STREET-LEGAL RUBRICA MUSICALE DI DARIO GRECO

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