Agosto in musica: da Born to Run ad Highway 61 Revisited

Un mese di grande musica questo agosto 2025. Dai 50 anni di Born to Run del Boss ai 50 di Highway 61 di Dylan, senza trascurare l'Astral Weekend e gli ottant'anni di Van The Man

C’è qualcosa di speciale nell’agosto della musica. Forse perché i grandi anniversari tendono a cadere proprio in questo mese, o forse perché il calore estivo si sposa con la memoria di dischi che hanno acceso intere generazioni. Quest’anno, in particolare, il calendario ci regala una sequenza di ricorrenze che sembrano legate da un filo invisibile: i cinquant’anni di Born to Run di Bruce Springsteen, i sessanta di Highway 61 Revisited e Bringing It All Back Home di Bob Dylan, i ricordi incisi nel “Brown Album” di The Band e, infine, la festa che celebrerà gli ottant’anni di Van Morrison con un evento dedicato, l’Astral Weekend. Sei tappe, sei dischi, sei storie che raccontano non solo la musica, ma anche l’anima di chi li ha ascoltati e vissuti.

Springsteen e il suono della strada

Il 25 agosto 1975 usciva Born to Run. Per Bruce Springsteen fu l’album della consacrazione, quello che trasformò un giovane musicista del New Jersey in “The Boss”. Otto brani, un muro sonoro che fondeva rock, soul e poesia urbana, un manifesto di gioventù e fuga. Canzoni come Thunder Road e Jungleland sono ancora oggi inni di libertà e ribellione romantica, testimonianze di un’epoca in cui la strada era l’orizzonte verso cui correre.

Ma Springsteen non si fermò lì. Cinque anni dopo, nel 1980, pubblicò The River, un’opera doppia che ampliava la prospettiva: non più soltanto il sogno della fuga, ma anche il peso delle responsabilità, dell’amore, della perdita. Era un disco che raccontava l’America reale, quella dei matrimoni difficili e dei lavori che svaniscono, una ballata collettiva in cui il rock si faceva cronaca sociale. Se Born to Run era la promessa, The River era la vita che arriva a presentare il conto. Insieme, i due album delineano l’arco emotivo di un artista capace di raccontare la giovinezza e la maturità senza perdere mai l’urgenza di cantare.

Dylan e la rivoluzione elettrica

Se Springsteen nel ’75 apriva la strada a una nuova generazione, dieci anni prima Bob Dylan aveva già cambiato le regole del gioco. Nel marzo del 1965 pubblicava Bringing It All Back Home, un disco che mescolava per la prima volta folk acustico e rock elettrico nello stesso album. Un gesto audace, che divise i fan della prima ora ma che spalancò la porta a una stagione creativa senza precedenti. Brani come Subterranean Homesick Blues annunciarono un linguaggio nuovo: rapidi, visionari, metropolitani.

Solo cinque mesi dopo, nell’agosto del ’65, arrivava Highway 61 Revisited. Dylan imbracciava definitivamente la chitarra elettrica e con Like a Rolling Stone scriveva un pezzo di storia. Quel disco non era solo musica: era poesia amplificata, era rock che si faceva letteratura, era la dimostrazione che un brano poteva durare sei minuti e diventare un classico universale. Sessant’anni dopo, Highway 61 Revisited conserva intatta la sua forza dirompente, e ci ricorda come l’arte nasca sempre da un atto di coraggio.

The Band e il suono collettivo

Se Dylan aveva aperto nuove strade, furono The Band a percorrerle con passo corale. Nel 1969, con il loro secondo lavoro passato alla storia come The Brown Album, diedero vita a un suono che sembrava arrivare dalle radici stesse dell’America. Le voci intrecciate di Levon Helm, Richard Manuel e Rick Danko, le chitarre di Robbie Robertson, l’organo di Garth Hudson: un insieme che non apparteneva più a un singolo artista, ma a una comunità musicale.

Il Brown Album è un disco che ancora oggi profuma di terra e di storie tramandate, capace di fondere folk, country, blues e rock in un linguaggio nuovo e antico allo stesso tempo. Canzoni come The Night They Drove Old Dixie Down o Up on Cripple Creek hanno reso immortale quella miscela di nostalgia e vitalità. E se Dylan aveva già intuito il potenziale del gruppo al suo fianco, Robertson e compagni seppero costruire un universo autonomo, che culminò poi nell’epico addio di The Last Waltz.

Van Morrison e la celebrazione finale

E poi c’è Van Morrison, il poeta irlandese che ha fatto della musica un ponte tra il visibile e l’invisibile. Il 31 agosto compirà ottant’anni, e per l’occasione nascerà Astral Weekend, un tributo collettivo alla sua carriera. Morrison non è solo l’autore di capolavori come Astral Weeks, disco che ha ridefinito il concetto stesso di spiritualità in musica, ma è anche la voce che ha saputo attraversare decenni senza mai smarrire la sua autenticità.

Van ha sempre scritto come se le sue canzoni fossero preghiere laiche, viaggi interiori sospesi tra il quotidiano e il trascendente. E non è un caso che in brani come Memories and Visions abbia saputo unire il peso dei ricordi alla luce delle visioni, trasformando la nostalgia in energia creativa. Celebrare i suoi ottant’anni significa riconoscere che la musica, quando è autentica, diventa un linguaggio che non conosce età.

Agosto come mese centrale, celebrativo della vita e della musica

Guardando a questi anniversari, si coglie un disegno più grande. Springsteen ci ha insegnato a correre e a crescere, Dylan a sfidare le convenzioni, The Band a cantare insieme, Van Morrison a trovare il sacro nel quotidiano. Sei dischi, sei momenti che raccontano come la musica sia molto più di una colonna sonora: è memoria, visione, identità.

Agosto ci riconsegna tutto questo, e ci invita a celebrare. Perché, come canta Van, non viviamo solo di ricordi ma di visioni che ci guidano. Ed è proprio lì, tra memoria e futuro, che la musica continua a renderci liberi.

Testo a cura di Street Legal - Rubrica musicale di Dario Greco

Commenti

Post popolari in questo blog

Remembering Now: Van Morrison’s Testament of Light and Redemption

A proposito di Wildflowers di Tom Petty

I capolavori del 1985 scelti da Street-Legal