A Night with Van The Man: l’impossibilità di fermarsi adesso

Nella carriera di Van Morrison i dischi dal vivo occupano un posto particolare. Per riuscire a comprendere appieno un artista complesso e prolifico come Morrison, è necessario soffermarsi sulla sua produzione discografica live. Se in studio ha costruito un corpus di opere che spaziano dal folk al soul, dal jazz al blues, è sul palco che la sua arte ha trovato la massima espressione. I suoi live non sono mai semplici repliche delle versioni in studio, ma reinvenzioni costanti, improvvisazioni che trasformano i brani in esperienze uniche e irripetibili. In questo senso, i dischi dal vivo pubblicati lungo il corso della sua carriera rappresentano non soltanto documenti, ma veri e propri tasselli di una poetica fondata sulla centralità della performance.

It’s Too Late to Stop Now e i volumi successivi

Pubblicato nel 1974, It’s Too Late to Stop Now è considerato da molti critici uno dei migliori album dal vivo non solo di Van Morrison, ma della storia del rock. Registrato durante il tour del 1973 con la Caledonia Soul Orchestra, cattura un momento di grazia in cui l’artista nordirlandese era capace di fondere soul, jazz, rhythm and blues e folk con una naturalezza unica. A differenza di molti dischi live che cercano di replicare fedelmente le versioni in studio, qui ogni brano diventa una reinvenzione: Morrison canta come se ogni parola fosse un’urgenza vitale, e la band risponde con una potenza orchestrale sorprendente.

La presenza dei fiati e degli archi conferisce un respiro quasi sinfonico a pezzi come Into the Mystic o Cyprus Avenue, che assumono un’intensità teatrale. Non c’è traccia di routine: Morrison sembra predicare, invocare, trascinare il pubblico in un rito collettivo. Caravan, ad esempio, è un’esplosione di energia che culmina con una delle interpretazioni vocali più celebri della sua carriera.

Il titolo stesso, “It’s Too Late to Stop Now”, è tratto da una delle frasi che l’artista amava gridare sul palco, quasi a sottolineare la necessità inarrestabile della musica. In questo senso, il disco diventa manifesto di un periodo in cui Morrison sembrava vivere la dimensione del concerto come momento di catarsi e liberazione.

Riascoltarlo oggi significa percepire la forza di un artista che, al culmine della propria ispirazione, riesce a tradurre l’emozione in performance pura. Non sorprende che molti lo considerino non solo il suo miglior live, ma uno dei rari album capaci di restituire davvero la magia di un concerto.

Nel 2008 Morrison decise di riaprire quell’archivio, pubblicando i volumi II, III e IV con materiale inedito e il video del concerto al Rainbow Theatre. Lungi dall’essere semplici aggiunte, questi dischi rivelano la vastità di quel tour, mostrando versioni incandescenti di Come Running e Snow in San Anselmo e restituendo la fisicità della performance. L’intero ciclo rappresenta l’apice della dimensione concertistica di Morrison, un’epopea live che ancora oggi mantiene intatta la sua forza.

Live at the Grand Opera House Belfast

Pubblicato nel 1984, Live at the Grand Opera House Belfast è un album che ha un valore particolare: non solo musicale, ma anche simbolico. Morrison torna nella sua città natale e registra un concerto che diventa dichiarazione d’amore e, insieme, riconciliazione con le proprie radici.

Il disco raccoglie brani del periodo a cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, con pezzi tratti da album come Into the Music e Beautiful Vision. L’atmosfera è intima e celebrativa, con Morrison che alterna momenti di intensa spiritualità a esplosioni di energia soul. Dweller on the Threshold e Cleaning Windows spiccano per vitalità, mentre Vanlose Stairway e She Gives Me Religion rivelano una dimensione più contemplativa.

La registrazione restituisce un suono caldo e avvolgente, con la band che accompagna il leader senza mai sovrastarlo. Si percepisce la gioia dell’artista nel suonare davanti al pubblico di casa, come se il concerto fosse anche una sorta di rito collettivo di appartenenza. Morrison non si limita a eseguire i brani: li vive con una profondità che trasforma il concerto in un atto di comunione con la città e con le proprie origini.

Live at the Grand Opera House Belfast è dunque un documento prezioso, che mostra un lato diverso del Van Morrison live: meno esplosivo, più raccolto, ma altrettanto intenso. È la prova che per lui la musica non è solo spettacolo ma anche radicamento e ricerca di senso.

A Night in San Francisco 

Registrato nel 1993 e pubblicato l’anno successivo, A Night in San Francisco è uno dei dischi dal vivo più celebrati di Van Morrison. Si tratta di un album doppio che restituisce l’energia travolgente dei suoi concerti nei primi anni Novanta, un periodo in cui il repertorio si arricchiva di collaborazioni, improvvisazioni e medley senza confini prestabiliti.

Il concerto è un fiume in piena: Morrison intreccia i propri brani con standard del soul, del blues e del rhythm’n’blues, creando un mosaico musicale che si apre con la solenne intensità di “I’ll Take Care of You / It’s a Man’s Man’s Man’s World”, per poi dilatarsi nella torrenziale suite “Lonely Avenue / Be-Bop-A-Lula / 4 O’Clock in the Morning / Family Affair / You Give Me Nothing but the Blues / When Will I Become a Man? / Sooner or Later / Down the Line”. Il risultato è una celebrazione delle radici afroamericane che hanno nutrito la sua carriera, interpretate con passione, rispetto e libertà assoluta.

La band è straordinaria, capace di assecondare ogni svolta improvvisa del leader, che spesso lancia segnali non programmati e trasforma i brani in jam vibranti. Memorabili anche i momenti di sospensione lirica, come “So Quiet in Here / That’s Where It’s At”, in cui Morrison sembra rallentare il tempo per trasformare il canto in preghiera laica. E ancora l’epilogo travolgente di “In the Garden / Real Real Gone / Allegheny / You Send Me”, che fonde spiritualità visionaria, energia ritmica e omaggio alla grande tradizione soul.

A Night in San Francisco è il ritratto di un artista libero, insofferente a etichette e regole, capace di abbandonarsi al puro piacere del suonare e del condividere la scena con ospiti prestigiosi come Georgie Fame, John Lee Hooker e Junior Wells, che aggiungono ulteriore profondità e varietà. È probabilmente il suo live più eclettico e caleidoscopico, in grado di mostrare tanto la varietà delle sue influenze quanto l’inesauribile energia della sua voce e della sua presenza scenica. Non sorprende che ancora oggi venga considerato un punto di riferimento imprescindibile per comprendere la dimensione concertistica di Van Morrison.

The Skiffle Sessions - Live in Belfast 1998

Con The Skiffle Sessions – Live in Belfast 1998, pubblicato nel 2000, Van Morrison rende omaggio a uno dei generi che più hanno segnato la sua giovinezza. Lo skiffle, con le sue radici popolari e la sua immediatezza, fu negli anni Cinquanta e Sessanta un terreno fertile per tanti musicisti britannici, tra cui lo stesso Morrison. In questo progetto lo affiancano due figure leggendarie: Lonnie Donegan, il pioniere dello skiffle, e Chris Barber, maestro del jazz tradizionale.

Il concerto è un atto di memoria e di gratitudine. Morrison mette da parte i suoi classici e si immerge in un repertorio che appartiene alla tradizione popolare, fatto di standard e brani tradizionali, eseguiti con gioia contagiosa. L’atmosfera è informale, quasi da jam session tra amici, ma la qualità musicale è altissima. Brani come Good Morning Blues e Don’t You Rock Me Daddy-O trasmettono freschezza e spontaneità, come se il tempo non fosse mai passato.

La voce di Morrison si adatta sorprendentemente bene a questo materiale, dimostrando ancora una volta la sua versatilità. Non c’è ricerca di perfezione, ma un ritorno alle radici, un ricordare da dove tutto era iniziato. La presenza di Donegan, già malato ma ancora carico di energia, conferisce al disco un valore storico ed emotivo inestimabile.

The Skiffle Sessions è quindi un album unico nella discografia di Morrison: un viaggio nel passato che diventa celebrazione collettiva, un atto di rispetto verso una tradizione musicale che continua a vivere proprio grazie a interpreti capaci di riportarla sul palco con autenticità.

Astral Weeks Live at the Hollywood Bowl

Quando nel 2008 Van Morrison decise di riproporre integralmente Astral Weeks sul palco dell’Hollywood Bowl di Los Angeles, non si trattò soltanto di un’operazione nostalgica. Quel disco del 1968, che al tempo fu accolto con freddezza dalla critica e solo col tempo divenne un classico della musica contemporanea, meritava un nuovo sguardo e una nuova energia. Morrison, ormai artista maturo, si trovava davanti a un pubblico disposto ad ascoltarlo con la consapevolezza che quella musica non era mai invecchiata. L’album dal vivo, uscito l’anno successivo, cattura proprio questa tensione tra passato e presente.

La band è raffinata, con musicisti capaci di dare profondità jazzistica alle tessiture ipnotiche dei brani. Morrison canta con un’intensità diversa rispetto al giovane uomo che registrò il disco originale: la voce è più scura, più vissuta, ma anche più consapevole. Canzoni come Sweet Thing e Cyprus Avenue acquistano nuove sfumature emotive, quasi a testimoniare come il tempo non abbia cancellato ma amplificato il loro significato.

La dimensione live consente inoltre una libertà interpretativa che rende ogni brano più elastico, più aperto. Morrison si concede improvvisazioni vocali, cambi di ritmo, momenti di trance che riportano lo spirito originario del progetto: un flusso musicale in cui folk, jazz e soul si intrecciano. L’ascoltatore viene trascinato dentro un’esperienza che non è semplice revival ma una vera riscrittura dal vivo di un’opera cardine.

Astral Weeks Live at the Hollywood Bowl è quindi un documento che unisce la memoria di un disco seminale con la vitalità di un concerto irripetibile. È come se Morrison avesse voluto riaffermare, quarant’anni dopo, che quelle canzoni non appartengono al passato ma continuano a vivere e a trasformarsi, trovando nuova linfa ogni volta che vengono suonate di fronte a un pubblico.

Live at Austin City Limits Festival 

Registrato nel 2006 e pubblicato l’anno successivo, Live at Austin City Limits Festival è un album che testimonia la capacità di Van Morrison di reinventarsi anche a distanza di decenni. Non è un semplice repertorio di classici: è la fotografia di un artista ancora inquieto, che alterna vecchi successi a brani meno noti, creando un equilibrio tra tradizione e rinnovamento.

Il contesto del festival texano, famoso per la varietà musicale e la qualità delle esibizioni, offre a Morrison l’occasione di misurarsi con un pubblico attento e variegato. La sua voce, pur segnata dal tempo, mantiene intatta la capacità di emozionare. Moondance e Brown Eyed Girl vengono accolte come inni popolari, ma sono i momenti più introspettivi a sorprendere: Into the Mystic o Precious Time mostrano una dimensione meditativa, quasi spirituale.

La band è essenziale ma precisa, capace di dare dinamica ai brani senza appesantirli. Morrison dirige i musicisti con autorità, muovendosi tra sax, chitarra e pianoforte, dimostrando ancora una volta quanto sia più di un semplice cantante. Ogni performance appare costruita con equilibrio tra spontaneità e disciplina, come se la ricerca di perfezione convivessero con l’istinto del momento.

Live at Austin City Limits Festival non ha l’esplosività di It’s Too Late to Stop Now, ma possiede un fascino diverso: è il ritratto di un artista che, anche in età avanzata, continua a credere nella forza della musica dal vivo come esperienza di condivisione e rivelazione. È la testimonianza che il suo repertorio non appartiene solo al passato, ma resta vivo sul palco.

Live at Orangefield

Live at Orangefield
, pubblicato nel luglio 2024, è l’album più recente della lunga serie di dischi dal vivo di Van Morrison, e possiede un valore particolare perché registrato proprio nella scuola di Belfast che il giovane George Ivan Morrison aveva frequentato negli anni Cinquanta. Tornare lì, ormai icona mondiale, significa intrecciare memoria personale e percorso artistico in un atto quasi simbolico.

Il concerto si svolge in un’atmosfera intima, diversa dalle grandi arene. Morrison propone una scaletta che mescola i classici con brani recenti, senza indulgere nel facile revival. Gloria e Brown Eyed Girl convivono con pezzi tratti dai suoi ultimi album, in un dialogo tra passato e presente che testimonia la continuità della sua visione musicale.

La voce, segnata dal tempo ma ancora vibrante, acquista qui una profondità particolare: non più l’urgenza giovanile ma la saggezza di chi ha attraversato decenni di palchi. I brani assumono toni meditativi, come se ogni canzone fosse una riflessione sul percorso fatto e sulle radici mai dimenticate. Il pubblico, composto in gran parte da fan locali, risponde con calore, creando un clima quasi familiare che si riflette nelle interpretazioni.

Live at Orangefield non punta all’esplosività di altri suoi live, ma al contrario si distingue per la sua dimensione raccolta e autobiografica. È un ritorno alle origini che si fa anche celebrazione collettiva: Morrison non solo rilegge la propria storia, ma la condivide con la comunità che l’ha visto nascere. In questo senso, è un tassello unico della sua discografia live, capace di unire la memoria di un ragazzo di Belfast con l’eredità di un maestro riconosciuto in tutto il mondo.

In conclusione

La discografia dal vivo di Van Morrison è molto più di una semplice raccolta di concerti: è un viaggio attraverso l’essenza di un artista che trasforma ogni palco in un laboratorio di libertà creativa e introspezione. Da Astral Weeks Live at the Hollywood Bowl, con la sua magia sospesa tra sogno e memoria, a It’s Too Late to Stop Now e i volumi espansi, che catturano la forza e la teatralità di Morrison al culmine della sua energia, ogni live racconta un capitolo unico della sua carriera.

Nei concerti come Live at the Grand Opera House Belfast o The Skiffle Sessions – Live in Belfast 1998, Morrison celebra le proprie radici musicali e la tradizione afroamericana, mentre con Live at Austin City Limits Festival e Live at Orangefield mostra come la sua voce e la sua presenza scenica continuino a sorprendere e commuovere, anche dopo decenni. A Night in San Francisco sintetizza tutto: improvvisazione, virtuosismo e spiritualità si fondono, trasformando medley e pause in veri racconti emotivi.

Questi live dimostrano che Van Morrison non replica mai se stesso: reinventa ogni canzone, dialoga con la storia della musica e con il pubblico, e rende ogni concerto un’esperienza irripetibile. Ascoltarli significa sentire la sua visione del mondo, percepire l’intensità del presente e scoprire che Morrison, in ogni live, offre più di una canzone: offre un’esperienza viva, intensa e straordinariamente eterna.


                            STREET-LEGAL - RUBRICA MUSICALE DI DARIO GRECO


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