Tupelo Honey e i suoi fratelli

She's as sweet, she's as sweet as Tupelo honey / Just like honey, baby, from the bee

Certe volte, la felicità ha un suono preciso. Non urla, non sgomita. Ti arriva addosso come il sole che filtra dalle tende una mattina d’autunno, con quel tepore tiepido che sa già di malinconia. Tupelo Honey è esattamente questo: un disco che sembra non voler cambiare il mondo, ma solo restituirgli un po’ di grazia. Van Morrison non insegue nulla, non dimostra nulla. Canta perché ne ha bisogno, per un reale stato di necessità come affermerà molti anni dopo. 

Pubblicato nell’ottobre del 1971, Tupelo Honey è il quinto album in studio di Van Morrison. Frutto di un momento di pace domestica e di trasloco emotivo tra Woodstock e la California, è il disco in cui il romanticismo pastorale incontra soul, R&B, folk e country, amalgamati in un suono caldo, coeso e stranamente rilassato. Lontano dalle urgenze mistiche di Astral Weeks, ma ancora carico di spiritualità terrena. Quasi tutte le canzoni erano nate nella quiete verde di Woodstock, con la compagna Janet Rigsbee al suo fianco. Non parlano di rivoluzioni o di fuga, ma di casa, luce dorata, amore sereno. C’è una felicità strana in questi solchi: non esibita, ma reale. Van non è più l’outsider in lotta con il mondo, ma l’uomo che si ferma un attimo, guarda il paesaggio e ne canta la bellezza. Il disco si apre con un’esplosione: Wild Night. Ritmo incalzante, basso pulsante, fiati che brillano, una voce che danza sopra la melodia con l’energia dei vent’anni. È Morrison nella sua versione più contagiosa, più immediata. Il brano diventerà una delle sue hit più celebri e, ancora oggi, fa muovere i piedi come pochi altri. In questa notte selvaggia c’è già tutto l’equilibrio perfetto tra l’istinto e il mestiere, tra la libertà e la misura.

All’estremo opposto, c’è la title track Tupelo Honey, che sembra provenire da un altro mondo: un inno all’amore puro, un gospel laico dedicato alla donna amata, alla vita semplice, a un’idea quasi religiosa di armonia. Bob Dylan l’ha descritta come “sempre esistita”, e Greil Marcus l’ha accostata a Elvis, in una definizione perfetta: un’odissea musicale che scivola dolcemente nel cuore dell’ascoltatore. Morrison canta con una delicatezza assoluta, trattenendo l’emozione fino all’ultimo verso. La genesi dell’album fu tutt’altro che lineare. Morrison abbandonò l’idea di un disco completamente country ma, spostandosi dalla East alla West Coast, dovette rifondare la band. Restarono solo Jack Schroer e sua moglie Ellen, mentre i nuovi arrivati – tra cui il produttore Ted Templeman, Ronnie Montrose e John McFee – portarono freschezza e versatilità. Le session furono spontanee, persino turbolente: Morrison dettava i tempi senza compromessi, improvvisando, esigendo. Ma alla fine, paradossalmente, nacque un album dal suono sereno e ben bilanciato. Nonostante le tensioni in studio e il disincanto postumo dell’autore (che lo considerava una raccolta di pezzi avanzati da altri dischi), Tupelo Honey è stato accolto con favore dal pubblico e dalla critica, soprattutto in America. In Europa il successo fu più tiepido, ma l’album divenne col tempo uno degli ingressi più accessibili nella discografia di Van. 

Oggi, cinquantaquattro anni dopo, Tupelo Honey continua a raccontare una stagione irripetibile: il suono caldo di una felicità sospesa, il ritratto musicale di un uomo che, almeno per un attimo, ha smesso di cercare. E si è messo a cantare.

I magnifici tre

Nel 1971, Tupelo Honey non fu l’unico album a incarnare quella miscela di radici, spiritualità e contaminazioni che stava plasmando il volto più nobile della musica rock. Attorno a Van Morrison orbitavano artisti che, pur con linguaggi diversi, condividevano affinità musicali, amicizie personali e intuizioni poetiche simili. Tre dischi in particolare – The Sun, Moon & Herbs di Dr. John, Madman Across the Water di Elton John e il Greatest Hits Vol. 2 di Bob Dylan – rappresentano capitoli paralleli di una stessa narrazione.

The Sun, Moon & Herbs è forse il più vicino, non solo per affinità spirituale ma anche per collaborazione diretta. Dr. John, alias Mac Rebennack, era amico e sodale musicale di Van Morrison, e in questo disco profondo e visionario lo coinvolge come ospite, insieme a nomi del calibro di Mick Jagger ed Eric Clapton. L’album è un viaggio nel voodoo blues del delta, fuso con jazz e psichedelia crepuscolare. I toni scuri e umidi, le orchestrazioni sospese e le percussioni rituali fanno da sfondo a un racconto sonoro mistico, quasi cinematografico. Van Morrison, con la sua voce e la sua presenza discreta ma magnetica, contribuisce ad accrescere l’atmosfera magica di un disco che oggi viene considerato tra i più coraggiosi e ambiziosi di Dr. John.

In tutt’altra direzione va Madman Across the Water, il disco con cui Elton John – ancora all’inizio del suo percorso leggendario – consolida la sua formula pianistica e barocca. Se Van rappresentava il lato mistico e blues del cantautorato, Elton incarnava quello teatrale e orchestrale. Eppure, l’influenza di Morrison aleggia in diversi momenti del disco: nel fraseggio, nelle strutture dilatate, nella ricerca di una vocalità profonda. Elton John ha più volte dichiarato di considerare Van un modello, e brani come Tiny Dancer o Levon condividono con Tupelo Honey la capacità di fondere il racconto personale con un immaginario collettivo, tra ballate gospel e solchi folk.

Infine c’è Greatest Hits Vol. 2 di Bob Dylan, pubblicato nel novembre del ’71. Più che una semplice raccolta, il disco fotografa un Dylan in transizione, che guarda al passato e al tempo stesso apre nuove strade. In quel periodo, Morrison e Dylan iniziano a intrecciare un dialogo musicale destinato a durare decenni: si esibiscono insieme, si influenzano a vicenda, si scambiano repertorio. Van ha più volte reinterpretato classici di Dylan dal vivo, mentre Dylan ha restituito l’omaggio inserendo in scaletta brani come Crazy Love o And It Stoned Me. Un rispetto reciproco tra giganti.


Testo a cura di Dario Greco


- STREET-LEGAL - RUBRICA MUSICALE DI DARIO GRECO - 

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