The Band, l'ultimo valzer rock

The Band: Ultimo Valzer Rock 

The Band ha segnato un'epoca nella storia del rock con la sua straordinaria miscela di influenze folk, country, blues, rock & roll e roots rock. Sarebbero sufficienti, magari con l’aggiunta di Hank Williams, Johnny Cash e Willie Nelson per descrivere ciò che oggi viene chiamato “Americana”. Per Americana si intende un amalgama di musica americana nato dalla confluenza delle tradizioni condivise e variegate che costituiscono l’etos musicale degli Stati Uniti, con un’enfasi particolare sulla musica sviluppata storicamente nel Sud degli Stati Uniti. Nati come gruppo di supporto di Ronnie Hawkins prima e successivamente di Bob Dylan, divennero una delle formazioni più influenti della loro generazione. Un maiuscolo percorso artistico fregiato da quella straordinaria attitudine per la live performance; un'intensa produzione discografica unita a indimenticabili collaborazioni capaci di plasmare, ridefinendo il panorama musicale dell’epoca. Fin dagli esordi, The Band si distingue per le eccezionali capacità di armonizzare le voci, in modo naturale e coinvolgente, creando un sound unico capace di convivere e di richiamare alla tradizione della musica americana di inizio Novecento. I membri del gruppo – Robbie Robertson, Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel e Garth Hudson – sono stati polistrumentisti di indiscusso talento, capaci di passare con disinvoltura da uno strumento all'altro, arricchendo le loro composizioni con arrangiamenti originali, ricercati, dinamici.

Cinque grandi musicisti chiamati THE BAND

La cifra stilistica del gruppo, il cui materiale originale è composto principalmente dal chitarrista Robbie Robertson, consiste in una sorta di zibaldone di tutto quanto di leggendario l'America abbia mai prodotto. Un condensato antologico di miti musicali (folk, country, blues, bluegrass, gospel, soul), storici (la frontiera, le prime ferrovie, la guerra di secessione), geografici (le pianure, le catene montuose, le foreste), folkloristici (i medicine shows, i saloon, i predicatori itineranti) e religiosi (i valori della Bibbia, gli inni metodisti, le piccole chiese di provincia). Più che un gruppo rock si possono considerare una piccola "orchestra acustica", il cui asso nella manica è costituito dalle straordinarie polifonie vocali con cui vengono colorati i brani, sempre saldamente radicati nella tradizione musicale del Nuovo Continente (anticipando il trend del roots rock). L'anima e il suono della band ruotano attorno alla batteria e al basso di Levon Helm e di Rick Danko, che assieme a Richard Manuel sono le tre voci principali dell'ensemble. Il talento di Helm che compone una batteria allo stesso tempo precisa, tuonante ed evocativa, quanto solenne, viene supportato dalle tastiere di Garth Hudson, il più preparato e maturo a livello musicale tra i cinque musicisti. Robbie Robertson pur non avendo spiccate doti vocali, riuscirà a scrivere e a tirare fuori un cospicuo numero di brani memorabili che consentono a The Band di entrare nella storia del rock. La cosa più originale che The Band porta in dote al rock del 1968 è questa capacità di raccontare un presente letto con gli occhi del passato; un'atmosfera che odora forte di vecchio west, cowboy e indiani, di Grande Depressione e ampi spazi aperti, senso di appartenenza e anelito all'evasione. Nulla avrebbe lasciato pensare a un affresco così nitido, da ascoltare prima di essere assimilato. Facendoci prendere dal trasporto e dal pathos, possiamo affermare come ci sia stato un tempo in cui la musica americana non si poteva semplicemente ascoltare, si poteva respirare, sentire scorrere nelle vene, come un fiume antico che portava con sé le storie della gente. In quel tempo, in un crocevia tra Canada e States, nacque un collettivo che non aveva bisogno di un nome altisonante per imporsi: si chiamava semplicemente The Band. Muovono i loro primi passi nei club fumosi di Toronto, dove il giovane Robertson, chitarrista appassionato e affamato di musica, trovò una strada insieme a Levon Helm, batterista dell’Arkansas dal groove inconfondibile. Suonavano per Ronnie Hawkins, carismatico quanto pittoresco artista rockabilly che aveva fatto del Canada la sua casa. Con lui, affineranno il loro mestiere: notti insonni di concerti, chilometri macinati senza sosta e ritmo incessante della vita on the road. Quando decisero di staccarsi da Hawkins, la loro sete di libertà li portò dritti tra le braccia di Bob Dylan, il cantautore più hipster presente sulla scena, il quale aveva appena deciso di diventare elettrico, Going Electric, come il titolo del libro di Elijah Wald. Nel 1966 il pubblico del circuito folk revival non era pronto per accogliere il cambiamento che Dylan stava suggerendo. Fischi, contestazioni, si racconta perfino di minacce raccolte dai membri della Band. Ogni concerto diventava una battaglia. Quando Dylan si ritirò temporaneamente dopo il famoso incidente motociclistico, i cinque si rifugiarono a Woodstock, dove in una casa rosa immersa nel verde – la leggendaria Big Pink – iniziarono a costruire un nuovo lessico musicale. Lì, tra registrazioni informali con Dylan – che sarebbero confluite nei Basement Tapes – e momenti di pura creatività, nacque Music from Big Pink, album che sembrava provenire da un altro tempo. Lontano dalle sperimentazioni psichedeliche che dominavano la scena, il disco riportava la musica alle sue radici: blues, country, gospel e folk, tutto intrecciato in un tessuto sonoro avvolgente ed evocativo. The Weight, con il suo testo enigmatico ispirato ai film di Buñuel e la sua melodia indimenticabile, divenne un inno generazionale. Richard Manuel cantava con un’intensità struggente, Helm e Danko intrecciavano voci e strumenti in un equilibrio perfetto, mentre Hudson dipingeva paesaggi sonori con il suo organo vaporoso e visionario. Il successo fu immediato, ma The Band non era un gruppo destinato a rimanere fermo. L'anno successivo pubblicarono The Band (1969), un'opera ancora più solida e coesa. L’album sembrava un viaggio nella storia americana, raccontato con la sapienza di chi aveva vissuto ogni piega del Paese. Brani come The Night They Drove Old Dixie Down e Up on Cripple Creek narrano di epoche passate, tragedie e speranze, con l’intimità che nessun altro gruppo riuscirà a trasmettere. Storie di perdenti e di uomini comuni, di un’America autenticamente polverosa, raccontata attraverso armonie vocali che si fondevano come vividi colori su tela. Con Stage Fright (1970), la loro musica si fece più cupa, più introspettiva. Canzoni come The Shape I’m In e Stage Fright raccontano la pressione del successo e le difficoltà legate alla vita on the road. Una Band in grado di mostrare un lato più oscuro e introspettivo. L’album, pur mantenendo radici folk e country, aveva un’atmosfera cupa e riflessiva, mostrando anche crescenti tensioni e dinamiche interne al gruppo. Negli anni successivi, continuarono a produrre album straordinari come Cahoots (1971) e Northern Lights – Southern Cross (1975), ognuno con il suo bagaglio di storie e atmosfere peculiari. Nel frattempo, le collaborazioni con artisti come Van Morrison, Neil Young ed Eric Clapton, consolidavano la loro reputazione di musicisti tra i più rispettati in circolazione. Il culmine della loro avventura arrivò con The Last Waltz, un concerto d’addio che non fu solo un evento musicale, ma un vero e proprio capitolo per la Storia del Rock. Ogni performance trasudava magia, nostalgia, consapevolezza che un’epoca stava finendo. Cito per dovere di cronaca un paio di passaggi come la performance di Caravan con Van Morrison e poi ancora i duetti con Muddy Waters, quello con Paul Butterfield e naturalmente il mini set con Dylan, con cui eseguiranno una struggente Forever Young, la dinamica e potente Baby Let Me Follow You Down, senza dimenticare I Shall be Released, loro cavallo di battaglia, eseguita in compagnia di tutti gli ospiti della serata. Robbie Robertson voleva chiudere quel capitolo prima che tutto si sgretolasse. Levon Helm, invece, avrebbe voluto continuare, infatti il concerto segnerà l’inizio di una frattura insanabile tra i due. Dopo lo scioglimento ufficiale, i membri di The Band presero strade diverse. Robertson si dedicò alla carriera solista e al cinema, collaborando con Martin Scorsese, regista proprio di The Last Waltz, con cui il chitarrista aveva stretto un rapporto di amicizia, tra una collaborazione artistica e l’altra.

Focus su The Basement Tapes

The Basement Tapes è una tappa fondamentale, la cartina tornasole di un gruppo che stava muovendo i primi passi, di un autore già celebre e incensato alla ricerca di ispirazione di un nuovo sound: del groove con cui prima o poi sarebbe tornato a far parlare di sé. Ufficialmente queste registrazioni risalgono al periodo 1966-1967 ma il disco sarà pubblicato nell'estate 1975. Bob Dylan all'epoca era tornato sia in studio che dal vivo, prima con i The Band, successivamente con un altro nucleo di musicista che lo avrebbero poi accompagnato a bordo di quel carrozzone gitano, meglio noto come Rolling Thunder Revue. Le canzoni e le registrazioni, eccettuate alcune sovraincisioni, risalgono però a otto anni prima. Non proprio un elemento trascurabile, per un artista sfuggente e mutevole come il Nostro. La qualità è rozza, cruda, l'approccio diretto, spontaneo, diremmo adesso, lo-fi. In maniera libera, informale, prende vita un ritratto totale della cultura americana, attingendo da ogni vena pulsante della possibile storia della musica statunitense. Respiriamo quindi l'aria di pianure sterminate, dei deserti, sentendo gli odori della terra, dei fiumi, percependo infinite sfumature cromatiche di questo luogo infinito. I testi si ispirano gioco-forza all'America rurale, entrando nelle viscere di personaggi che sono al contempo santi e peccatori, prostitute e vergini, amanti del vizio alla ricerca della salvezza dell'anima. Il fatto che Bob Dylan e The Band si siano chiusi a fare musica arcana e blasfema mentre il mondo sta andando a ferro e fuoco, è un dettaglio che oggi non possiamo certo trascurare. In effetti ascoltando bene tra le tracce, qualcosa rimane, tra le pagine del grande libro che si sta scrivendo. Tears of Rage, You Aint' Goin' Nowhere, This Wheel's on Fire e I Shall Be Realesed (che tuttavia non sarà incluso nel doppio album, ma pubblicata separatamente prima da The Band e poi dallo stesso Dylan) sono figlie illegittime di questi tempi turbolenti, mitizzati forse. Una nota a parte va fatta per il brano I’m Not There, pubblicato ufficialmente nel 2007 attraverso la colonna sonora del film di Todd Haynes. Non tutto il lavoro è stato svolto invano, dato che The Byrds, Peter, Paul and Mary e Manfred Mann sapranno valorizzare il materiale. Personalmente ho sempre avuto un debole per pezzo come Goin' to Apaculpo, Million Dollar Bash, You Ain't Going Nowhere, Open the Door, Homer e naturalmente This Wheel's on Fire, mentre il valore di Quinn the Eskimo (Mighty Quinn) è certificato dal primo posto di questo singolo nelle classifiche UK, nella versione di Manfred Mann. Ma a rendere giustizia a queste take ci penseranno il tempo e la storia, visto che ormai dieci anni fa (2014) verrà pubblicata la raccolta di registrazioni edite, inedite, nastri demo e versioni alternative chiamata appunto The Bootleg Series Vol. 11: The Basement Tapes Complete.

Considerazioni finali

Più che vere e proprie star musicali, The Band sono stati abilissimi artigiani, custodi del “Fuoco Segreto della Tradizione” che ancora oggi risuona per chiunque di noi fosse alla ricerca di autenticità in musica. In un’epoca in cui tutto sembra effimero, la loro musica continua a essere un rifugio dalla tempesta, per dirla alla Dylan. Oggi ho deciso di rendere omaggio a questo ideale sonoro, dopo aver appreso durante lo scorso gennaio della morte del tastierista Garth Hudson, unico membro rimasto in vita. Perché sono fermamente convinto che The Band non sia soltanto un gruppo musicale. È una finestra su un’America polverosa, dove possiamo sentire barbagli di speranze e di immortali malinconie. La loro musica è il “rough guide” di strade dimenticate, storie poco conosciute, voci che s’intrecciano fino a ricreare qualcosa di eterno. Come il magico accordo, per citare New York, New York, pellicola musicale diretta da Martin Scorsese nel lontano 1977.


STREET-LEGAL RUBRICA MUSICALE DI DARIO GRECO

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